| OPERAZIONE RINNOVAMENTO / Il processo Juve, tutti sotto accusa Dalle scelte di mercato agli errori di gestione: viaggio nei problemi bianconeri
ELVIRA ERBI’ GUIDO VACIAGO TORINO. Non è solo questione di un’acca (per di più muta), perché la vera differenza fra Tiago e Thiago è saltata agli occhi in modo piuttosto evidente sabato sera a Marassi, anche se il portoghese della Juventus era seduto in panchina, mentre il quasi omonimo brasiliano del Genoa devastava la difesa bianconera, stravincendo il confronto con Christian Poulsen. Già Poulsen: è sbarcato in Italia in contemporanea a Thiago Motta, ma è costato dieci milioni in più rispetto a lui. Perché il danese è stato pagato (e percepisce uno stipendio di circa 3 milioni di euro all’anno), mentre il brasiliano è arrivato a parametro zero dal Barcellona (e guadagna 1,8 milioni all’anno). Il confronto con il Genoa di sabato sera ha impietosamente fotografato alcune lacune del mercato, anzi degli ultimi due mercati juventini, nei quali le scelte (spesso rivendicate da Ranieri) di Tiago e Poulsen si sono rivelate inadeguate e sono costate ventitré milioni di euro. E pensare che all’interno della società c’era chi preferiva Sissoko (acquistato poi in gennaio e rivelatosi colpo efficace, nonché giocatore fondamentale) al posto dello spento portoghese. Mentre Poulsen ha vinto un estenuante ballottaggio con lo spagnolo Xabi Alonso, che sarebbe anche costato di più (ma la società era pronta a chiudere), però offriva sicuramente un altro tipo di rendimento. Il divario dall’Inter forse non si sarebbe colmato solo con lui, ma certamente non si è accorciato. E forse anche per la mancanza di un regista efficiente che è sempre mancata una convincente fase offensiva, con gli attaccanti troppo spesso isolati, Del Piero costretto ad arretrare per recuperare il pallone, la manovra affidata ai lanci lunghi o all’estemporaneo estro degli esterni, dove Ranieri ha confinato la qualità (ma non sempre, perché un conto sono Camoranesi e Marchionni, un altro è il pur volenteroso Salihamidzic). Il gioco è stato sostituito dalla grinta e dalla tensione nervosa creata da un gruppo di combattenti che volevano tornare a vincere: qualche volta ha funzionato alla grande (vedi doppio scontro con il Real), altre volte non è bastato. Solo la fase difensiva è stata messa a punto in modo assai preciso, quasi perfetto. Ma la fase difensiva, baluardo della prima parte della stagione, è finita per crollare dopo l’eliminazione dalla Champions con il Chelsea. Forse il segnale di una concentrazione calata troppo bruscamente dopo la delusione continentale, certamente la ragione principale degli stop che hanno portato alla resa in campionato contro Chievo e Genoa. Insomma, qualcosa non sta funzionato anche nella gestione psicologica di un gruppo che ha subito un contraccolpo troppo pesante dopo l’addio all’Europa e non è riuscito a reggere lo snervante testa a testa con l’Inter che costringeva a 9 vittorie nelle ultime 9 giornate. In questi casi lo spogliatoio deve essere curato con logiche diverse da quelle freddamente aziendali con le quali la dirigenza ha compiuto veri e propri miracoli in altri campi (stadio in primis). A questo punto rimane la coppa Italia e un secondo posto da difendere in virtù del concetto caro a Ranieri del «migliorare la scorsa stagione». Non è molto, ma intorno a questo società e tecnico devono raccogliere la volontà della squadra per non compromettere completamente la stagione. Nel frattempo, solo un’analisi profonda e senza reticenze può prevenire altri passi falsi in futuro.
1Il gioco è inesistente E la grinta è sparita
TORINO. Imputato Ranieri, si alzi in piedi. Leggiamo i capi di accusa a suo carico: la Juve non ha un gioco, la Juve non è brutale con le cosiddette piccole e scricchiola l’obiettivo del «fare meglio di un anno fa» perché anche i due punti di vantaggio della Juve attuale su quella 2007/08 non possono essere sinonimo di un salto di qualità. Anzi. La Juve che pur in estate ha innestato, nella squadra terza classificata, gente come Amauri e Poulsen sta ampliando il suo distacco dall’Inter ora a 10 lunghezze. OCCHIO AL MILAN Due punti in più rispetto al campionato passato certo non rallegrano, perché a questo punto Del Piero e compagni si devono guardare le spalle. Il Milan è in fase di rimonta, perdere altro terreno con due scontri diretti da giocare (sabato in casa con l’Inter di Mourinho, il 10 maggio a San Siro con i rossoneri di Ancelotti) sarebbe funesto. Ma quello che più ha impressionato, nel sabato sera della sconfitta col Genoa, è il confronto impietoso sulla manovra: i ragazzi di Gasperini sempre propositivi, mobilissimi anche senza palla, autori di azioni arrembanti, palla a terra, con i tre davanti a non dare punti di riferimento, con il centrocampo multiuso: corsa e inventiva più gol. In mezzo i bianconeri hanno penato, il confronto Poulsen- Thiago Motta è risultato impietoso, ma anche con gli esterni non c’è stato match. IDENTITA’ Nel Genoa infortuni e assenze non incidono più di tanto, la squadra di Gasperini mantiene la sua identità. La Juve, sfortuna a parte, vive di cuore e di grinta, di lotta e di sacrificio. Grandi doti, non c’è che dire. Ma tre passaggi di fila, ultimamente, non si vedono più... E la grinta si sta nascondendo. E dopo l’eliminazione dalla Champions qualcuno ha mollato gli ormeggi. E.E.
2Del Piero ora divide Chi lo segue e chi no TORINO. Imputata Juve, si alzi in piedi. Leggiamo i capi di accusa a suo carico: la stagione è stata altalenante, con tre periodi individuabili di crisi; alcuni big non hanno dato il solito apporto, per diversi motivi; lo stesso capitano Del Piero, nel 2009 (inteso come anno solare), non ha reso come ci si aspettava e ha spaccato in due l’ambiente fra pro e contro la sua figura, condizionando - secondo una lettura sempre più diffusa - pure alcune scelte.
REALITY SHOWIl capitano ammazzaReal Madrid è un pallido ricordo. Impegno e concentrazione sono sempre massimi, ma sul campo manca la brillantezza, anche se l’orgoglio lo spinge a metterci la faccia, comunque e ovunque. E adesso c’è chi continua a scommettere ciecamente su di lui e chi vorrebbe anticipare l’arrivo di un su alter ego ( Cassano?), mentre i progetti sul futuro spesso divergono sul suo nome e sul suo ruolo.
MEZZO CAMOMa il rendimento di una serie di giocatori è comunque deficitario. Lo stesso Ranieri sabato ha puntualizzato: «Non hanno fatto nulla di quello provato in settimana negli allenamenti». Prendiamo un nome su tutti: Mauro German Camoranesi. Colpito da mille guai fisici, l’azzurro di Argentina, e a ogni ritorno in campo è seguita una delusione, e un’intemperanza inaccettabile. Tutti si aspettavano il suo rientro come quello della svolta, ma non è stato così. Annata assolutamente da dimenticare. Ma il discorso si allarga, perché nella realtà il grande filotto positivo nei mesi di novembre e dicembre è stato effettuato con parecchi titolari in infermeria. Ecco, il nuovo anno doveva portare i rinforzi “made in Juventus”: Camoranesi appunto, Buffon, Zanetti, Poulsen, Tiago, Trezeguet. Ebbene, l’iniezione di forza, alla fine, non c’è stata. E.E.
3La società-azienda ha poco peso in Lega TORINO. Imputata società, si alzi in piedi. Leggiamo i capi di accusa a suo carico: si percepisce una distanza pericolosa dalla squadra e ha poca influenza a Palazzo. Pare infati che i giocatori non abbiano gradito tutti gli anticipi, praticamente un campionato parallelo vissuto perennemente di notte, che contando un po’ di più a Palazzo forse si poteva ridimensionare. Insomma, nello spogliatoio si mormora di dirigenti con scarsa influenza in Lega. Al punto da non essere riusciti, nei dieci giorni più importanti della stagione ( con derby e Chelsea a seguire), a far slittare l’andata della semifinale di coppa Italia contro la Lazio.
ABBANDONO La Juve, intesa come squadra, non si sente tutelata. Anzi, si sente quasi abbandonata. Gli stessi arbitraggi scandalosi vengono ritenuti frutto di ininfluente peso politico. Nessuna nostalgia del passato, ci mancherebbe... Però forse non è un caso che il ds Alessio Secco abbia alzato la voce dopo la serata no di Rocchi a Marassi. SPOGLIATOIO E la squadra ha sentito la mancanza di una società più presente a Vinovo e nello spogliatoio. Nei momenti critici della stagione ( ieri, per esempio) i dirigenti non hanno fatto sentire la loro voce ( che a volte poteva anche essere grossa). Una società- azienda, molto forte ed efficiente sotto il profilo della gestione finanziaria e manageriale, meno incisiva nel gestire le spigolature psicologiche della parte sportiva. G. VA.
4Primato di infortuni tra ansie e imbarazzi TORINO. Imputato preparatore, si alzi in piedi. Leggiamo i capi di accusa a suo carico: il Genoa corre e fa girare la testa a una Juve che - per usare le parole dello stesso Ranieri - arriva sempre per ultima sulla palla. Per di più, senza gli impegni europei in mezzo (disdetta, tremenda disdetta...). Spesso, durante la stagione, i metodi del professor Riccardo Capannasono stati oggetto di accesa discussione. Alcuni giocatori erano pronti anche ad adottare il metodo Del Piero, ovvero assumere un preparatore personale. Poca palestra, poco lavoro di prevenzione, carenza nel recupero degli infortunati e numero esagerato degli stessi (siamo arrivati a oltre 60). Si parla di mancanza di strumenti e di personalizzazione nel cammino che ogni giocatore deve affrontare per tornare abile e arruolato (test compresi).
E IO PAGO! Camoranesi è l’esempio del giocatore colpito una, due, tre, quattro volte... Buffon ha pagato dazio con ricaduta. I due centrali della difesa si sono ritrovati con vari guai in successione. Una costante che ha colpito l’intera rosa. Soltanto Molinaro l’indispensabile è stato risparmiato. Lui e Del Piero, se proprio vogliamo andare a fondo. Del Piero che appunto svolge un lavoro per conto suo per poi unirsi al lavoro della squadra.
IL DOTTORE I ko muscolari hanno rappresentato l’handicap più grande della Juve. Ma non mancano altri generi: tendine d’Achille, ginocchia, clavicola, naso. In tutto questo, Ranieri ha chiesto che Capanna non fosse “toccato”. Qualche velata accusa anche per il settore medico. La società, non ritenendo immune da colpa nessuno, ha preso tempo: a fine stagione si esamineranno per bene le questioni. Perché bisogna correre ai ripari. E.E.
Difesa col buco Un problema da risolvere
TORINO. Una difesa rimasta senza difesa. E senza tutela. Colpa dei singoli, colpa della squadra. Se attaccanti e centrocampisti non danno una mano, è facile che i quattro in barricata finiscano allo sbando, di fronte ad attacchi in massa e velocità. Così, la seconda difesa del campionato dopo quella interista (23 reti) è diventata la terza con quella genoana (29), superata in rimonta da quella milanista (28). Già, raggiunti e beffati dalla retroguardia accusata di essere pronta per la pensione con i vari Maldini & C. Insomma, una caduta verticale. Tre gol dal Chievo, tre gol dal Genoa. Secco: «Un problema che deve risolvere l’allenatore. Speriamo ponga rimedio in fretta».
OPERAZIONE RINNOVAMENTO / Il futuro Subito Diego, poi il resto Più qualità, un tecnico innovativo (Spalletti e Gasperini in pole), una società solida Gasperini piace, ma i guai della Roma fanno ripensare a Spalletti. Mentre Prandelli ha sempre diversi estimatori. Il fattore Lippi
GIANNI LOVATO GUIDO VACIAGO TORINO. Si inizia bene: perché il contatto per Diego ci sarà. Telefonico, dicono alla Juve, ma non c’è da fidarsi troppo in questi casi. Perché Klaus Allofs e Alessio Seccomagari si sentiranno davvero, ma per organizzare un incontro formale e iniziare la vera e propria trattativa. L’accordo con il giocatore, d’altronde, è stato già trovato con tanto di dettagli. Uno sviluppo importantissimo, che va finalizzato al più presto. Esistono delle alternative: Silva, Hamsik e Ribery, tutte piste calde, ma quella per il brasiliano è bollente. Perché Diego (o chi per lui) deve essere il primo elemento della rivoluzione qualitativa nella rosa juventina. Se questa stagione ha insegnato qualcosa è che la carenza di campioni nella rosa finisce per farsi sentire nei momenti cruciali e i troppi portatori d’acqua nelle fila bianconere hanno inaridito il gioco, rendendo meno efficaci anche i campioni che c’erano già. Non può, però, finire con Diego il rinnovamento della rosa. Serve altro: a centrocampo, in difesa, eventualmente sulla fascia sinistra. La Juventus sembra, effettivamente, concentrata sulla ricerca di un difensore. Sono stati seguiti con attenzione Gregory Van der Wiel dell’Ajax, il napoletano Mariano Santacroce, Vassilis Torosidis dell’Olimpiacos. Si riparla di un’ipotesi Mexes abbinata al suo attuale mentore, Luciano Spalletti.
Molti nomi, una sola certezza: il reparto deve essere rinforzato. Anche gli altri reparti meriterebbero una riflessione, molto dipende dal sistema di gioco che la Juventus dell’anno prossimo adotterà. E questo dipende dall’allenatore che avrà. Claudio Ranieri non è più così saldo in sella a dispetto del suo contratto che prevede un altro anno. La società era intenzionata a confermarlo, ma dubbi si stanno insinuando e il finale di stagione sarà decisivo per la sorte del romano. La finale di Coppa Italia è un must, il secondo posto anche. Non è solo frutto dell’inevitabile chiacchiericcio di mercato, infatti, che si torni a parlare di Luciano Spalletti come candidato per la panchina juventina. Con l’avventura romana logorata da una stagione difficile, il toscano (legato formalmente alla Roma per altre due stagioni) avrebbe voglia di aprire un ciclo vincente altrove: è stimato, ha la benedizione di Marcello Lippi (compagno di... pranzi di Jean Claude Blanc, che in passato aveva suggerito alla Triade il suo nome al momento di congedarsi dalla Juve). Gian Piero Gasperini è una suggestione che, al di là della lezione inflitta ai bianconeri sabato sera, sa molto di progetto concreto. Il suo destino è quello di allenare la Juve, il problema è solo sapere quando. La prossima stagione potrebbe anche non essere troppo presto, se non altro perché il tecnico rossoblù ha un patto d’onore con Enrico Preziosi: se chiama una grandissima, può liberarsi senza grossi intoppi. Un patto per la Juve? Cesare Prandelli è il candidato di sempre. E, infatti, resta un nome papabile anche in questo momento, soprattutto perché, pure lui, sembra vivere con minore passione rispetto al passato il rapporto con la Fiorentina. In caso di mancata qualificazione per la prossima Champions anche in casa Della Valle potrebbe esserci la tentazione di cambiare timoniere o comunque di non opporsi a una richiesta di seprazione. A proposito di ex juventini, bisogna tenere conto anche di Antonio Conte, altro profilo da predestinato. Dirigenti che potrebbero anche diventare più numerosi. Perché è ripreso il dibattito sulla necessità di avere un “uomo di calcio” (ma andrebbe bene anche un “uomo di sport”) che armonizzi le linee societarie con le dinamiche di spogliatoio, capace di costruire un ponte fra parte economica e sportiva. Qualche tempo fa si parlava di Beppe Marotta, abilissimo ad della Samp, molto apprezzato dalla proprietà bianconera. Non è l’unico, certamente resta uno dei più bravi. Sarebbe il tassello mancante in un ottimo organigramma che ha traghettato la Juve dall’inferno al purgatorio, ma ora non può più fallire il difficile passaggio in paradiso.
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