CITAZIONE
L'eredità impossibile di Nedved
Il centrocampista bianconero: «Smetto, e vorrei chiudere con la Champions»
MASSIMILIANO NEROZZI
TORINO
Firmatario di numerosi congedi, per poi calpestarli con il suo moto perpetuo e la zazzera bionda ondeggiante, stavolta Pavel Nedved giura che sarà per davvero: «Basta. Comunque vada questa stagione, la Champions League e il campionato, a maggio chiudo», ha sospirato ieri notte mentre a Stamford Bridge spegnevano le luci. Avendo suonato così tante volte l’allarme da far somigliare il suo annuncio d’addio al grido di al lupo al lupo, pure lui ha fatto fatica a restare serio: «Lo so, l’avevo già detto altre volte, e qualche mio compagno non mi crede, ma questa volta è così. Ho già deciso, e non credo che ci sarà un ripensamento. Non c’è n’è bisogno, perché è arrivato il momento giusto».
Cavoli della Juve, che per trovarne il clone dovrebbe prelevare campione di dna: «Uno come Pavel non lo ritrovi», sintetizzò benissimo qualche settimana fa Gigi Buffon. Difatti, si sta dimostrando dura anche solo reperirne il replicante, se la società sta sondando il mercato da tempo e ancora non ha deciso a chi infilare la maglia. La potenziale eredità è transitata sui piedi di Schweinsteiger (che rinnovò con il Bayern); s’è fermata a lungo, e ancora indugia, su quelli di Diego Ribas Cunha, asso del Werder, che però di professione farebbe il trequartista; ed è ora indirizzata verso il talento di David Silva, esterno sinistro del Valencia. Un altro, quest’ultimo, di quelli complicati da scippare, tanto per cambiare. Intanto, frullano altri nomi: dal portoghese Deco, del quale Secco avrebbe parlato a Londra con il procuratore, a Bosko Jankovic, che sta luccicando nel Genoa.
Il problema è che nessuno gli somiglia. Forse, perché davvero hanno assemblato Pavel e poi gettato lo stampino. Nato centrocampista di mezzo, emigrato sulla sinistra, senza mai appiattirsi al solo mestiere di ala: ne è uscito un giocatore dall’impeto pazzesco, con indifferente scelta di piede, sventola tremenda e gol non come optional.
Da maggio, scordatevelo. Alle future dimissioni da calciatore ci stava pensando da alcune settimane, parlandone in famiglia, e mercoledì sera le ha rivelate davanti alle tv ceche, “casualmente” presenti nel salotto del Chelsea: c’era da informare la nazione, dove Pavel è un’icona. Se ne andrà a 36 anni, correndo ovviamente, con il Pallone d’oro 2003, scudetto, Coppa Coppe e Supercoppa europea con la Lazio, i due titoli juventini (più altri due confiscati) e un’eterna solitudine in Champions League, «la Coppa con le orecchie» che sempre ha inseguito. Altro sorrisetto: «Mi piacerebbe chiudere con una vittoria in Champions, chiaro, e credo che saranno tre mesi di fuoco. Non abbiamo perso ancora niente, qui a Stamford Bridge. Certo, il risultato non è bellissimo, ma al ritorno può succedere di tutto. Penso che le probabilità siano 55 a 45 per il Chelsea, perché sono in vantaggio di un gol. Sarà una partita molto difficile, ma non impossibile». Impossibile pareva il suo ritiro, spostato di anno in anno: «Mi sto divertendo molto, ma credo che fisicamente e mentalmente sia arrivato il momento di lasciar spazio ai giovani - ha aggiunto - che meritano di giocare. Forse vi sembra che sia ancora giovane, ma ho quasi 37 anni e credo che sia il momento giusto per staccare. Devo ripagare la mia famiglia, e voglio starci di più insieme».
Che destino tracciare, non sa ancora: «Non ho parlato di un mio ruolo nella Juve - ha chiuso - perché per il momento non ho proprio pensato al mio futuro. Per adesso ho in testa i tre mesi che devo fare a mille». Poi, forse, insegnerà i suoi colpi ai ragazzini, da sempre uno dei suoi desideri, dentro una vita che resterà torinese, nella casa tra i boschi della Mandria, alle porte di Torino. Lì continuerà a correre, in quel maniacale fai da te che gli ha levigato fiato, gambe e indole: smetterà di giocare, non di essere se stesso.